Qualche tempo fa (in epoca pre-Covid) mi ero fermata a scambiare quattro chiacchiere da corridoio con un collega da poco arrivato in Dipartimento che insegna lingua e traduzione portoghese. Fu l’occasione per dirgli della mia passione per la bossa nova. Non avevo finito di pronunciare la parola che il collega mi interruppe: “E allora non ti puoi perdere Coisa mais linda! È una serie brasiliana di Netflix… i sottotitoli sono in inglese!”.
Coisa mais linda, che ho cominciato a guardare la sera stessa, mi ha conquistata già dalla sequenza di apertura: mani femminili affidano alle onde, tra fiori e candele votive, la statuetta di una figura dai seni generosi, vestita d’azzurro. È Iemanja, si scopre più avanti, la divinità brasiliana del mare, un po’ madonna un po’ sirena, protettrice dei marinai, venerata dalle loro donne, che la festeggiano, in abiti bianchi, sulle spiagge. Una voce femminile fuori campo accompagna il rito recitando le parole di una famosa canzone: “É melhor ser alegre que ser triste […]/ Mas pra fazer um samba com beleza/ É preciso um bocado de tristeza“ (Samba da Benção): per fare un bel samba – come per fare una buona serie, direi – ci vuole allegria ma anche un po’ di tristezza. L’opener finisce e comincia la sigla accompagnata dalle note di The Girl from Ipanema. E sì, perché il titolo della serie è un omaggio alla celeberrima canzone del 1959 di Tom Jobim con parole di Vinicius de Moraes.
Proprio nel 1959 ha inizio la storia, quando Malu atterra all’aereoporto di Rio dove ad attenderla dovrebbe esserci il marito, già lì da qualche tempo per aprire un ristorante di lusso. Malu scoprirà però che è scomparso, insieme all’ingente capitale trasferitogli dal padre di lei, unica figlia di un ricchissimo quanto super-conservatore uomo d’affari di San Paolo. Bella, elegante, giovane e da sempre addestrata a interpretare il ruolo della perfetta moglie borghese, Malu decide di non tornare alla sua famiglia d’origine, ma di prendere in mano la propria vita trasformando il locale malridotto acquistato dal marito, unico suo lascito, in un night-club dove si suona musica dal vivo. E non una musica qualunque, ma quella che sta prendendo piede a Rio: la bossa nova. Sulla sua impresa veglierà Iemanja, la cui statuetta Malu ha trovato nascosta in una vecchia credenza del locale.
Ma perché questa serie mi ha agganciato da subito? Per le location da cartolina e gli abiti di alta sartoria che strizzano l’occhio a Sex and the City? Per la storia avvincente, a tratti piccante, spesso melodrammatica? Per l’eleganza e la bravura delle protagoniste? Per la musica sofisticata della colonna sonora? Perché mostra le difficoltà dell’imprenditoria femminile nel campo dell’intrattenimento, che ancora esistono, ma sembrano più sopportabili se attribuite ad un’altra epoca?
Forse ciò che mi ha veramente catturata è stata la sigla. A interpretare la canzone simbolo della nuova bossa è addirittura Amy Winehouse! La registrazione è dal suo terzo album, uscito postumo nel 2011: Lioness: Hidden Treasures. Amy, con quella sua voce così riconoscibile, roca e flessibile, con quel suo piglio così personale, ironico e disperato. Ma perché la produzione non ha usato la versione di Astrud Gilberto, il volto stesso della ragazza di Ipanema? Perché non Astrud, moglie e musa di João, che la cantò proprio in quegli anni con la sua voce flautata, facendo scandalosamente innamorare di sé Stan Getz? Penso di averlo capito solo alla fine. E ho adorato questa scelta degli autori. L’ho amata più di altri e più ideologici modi per raccontare una storia di empowerment femminile che esige dei sacrificia. Perché con i suoi tristi occhi esageratamente bistrati e gli abitini strizzati in vita, troppo corti per essere originali del periodo, Amy ha sempre parodiato la femminilità remissiva degli anni Cinquanta. L’ha fatto con dolce ferocia, come dolcemente feroce era il suo canto. E ferocemente ne è rimasta vittima.