Scendevamo a valle attraverso le ‘ferriere’, in Costiera Amalfitana, per uno stretto sentiero di montagna ombreggiato da una vegetazione mediterranea, attraverso un sottobosco fatto di felci e piante antiche. A guidarci c’era Pasquale Palumbo, per solito un camminatore solitario ma quella volta dedicato a noi, un gruppo di studiose e studentesse che soggiornavano a Ravello per una scuola estiva di letteratura che Pasquale mi aveva aiutata a realizzare. Mi ricordo che con lui eravamo davanti al gruppo. Lo precedevamo di una decina di metri. E a un certo punto ci fu uno di quei momenti che accadono in montagna, quando senti il suono lontano delle campanelle delle capre che pascolano allo stato brado. E poi quel suono si smorza. E poi si sente il vento che passa tra le foglie e poi, improvvisamente, la natura sembra tacere. Ed è possibile ascoltare il silenzio.
Mi ricordo che Pasquale si fermò e mi fece un cenno, senza parlare, come a dire: senti? Dopo pochi secondi si aggiustò gli occhiali sul naso con quel mezzo sorriso che non si capiva se fosse veramente un sorriso o una smorfia dovuta al sole e proseguimmo.
È così che mi è tornato in mente Pasquale, quando mi hanno detto qualche giorno fa, il 20 dicembre 2021, che ci aveva lasciati, ad un’età in cui c’è ancora tanto da vivere e in cui avrebbe ancora potuto dare tanto. Questo, la memoria, mi ha restituito: l’istantanea di lui che mi invita ad ascoltare il suono del silenzio.
Perché solo chi sa ascoltare il silenzio può veramente apprezzare la musica. E questo Pasquale lo sapeva bene, lui che era un musicista e che per quasi quarant’anni ha organizzato, con tenacia e finanche ostinazione, il programma della Ravello Concert Society.
Per tutti questi anni Pasquale ha silenziosamente lavorato, facendo fruttare come un bravo amministratore i pochi ma preziosi fondi ottenuti solo grazie alla sua capacità inventiva e alla sua creatività. Ed è riuscito così a portare un incredibile numero di artisti in quello spazio unico che è l’antica Chiesa dell’Annunziata: un luogo impervio ad arrivarci (91 gradini scoscesi lo separano dai luoghi della socialità ravellese) ma di una bellezza mozzafiato e con un’acustica ineguagliabile dovuta alle volte medievali e alla quasi totale nudità delle pareti, se non per una splendida pala d’altare.
E non ha lavorato così duramente, Pasquale, per i soldi, lui che era così parco per sé e così onesto con gli altri, né per la gloria, schivo com’era. L’ha fatto, ne sono convinta, solo per portare avanti un suo ideale di bellezza, fatto di silenzio e musica. Un ideale che gli artisti ai quali ha voluto aprire le porte di quel luogo speciale hanno avuto la fortuna di sperimentare con la loro arte: perché fare musica lì, in quello spazio del silenzio, era un’esperienza artistica intensa.
Pasquale non ha rincorso la fama e non vorrebbe si facesse un gran baccano perché si è allontanato dal gruppo, precedendoci su quel sentiero di montagna. Ma credo che quello che ha fatto non si debba dimenticare: creare le condizioni perché tante e tante persone, artisti e pubblico, potessero vivere momenti di bellezza. Momenti che possono cambiare la vita. Che la cambiano a molti. Perché aveva capito una verità profonda, Pasquale, e nel suo modo taciturno e fattivo la diffondeva con passione attraverso il suo lavoro di organizzatore di concerti: niente, come la musica, è in grado di guidarci fino a quello spazio interiore, nascosto e nudo, che esiste in ciascuno di noi ed è in quello spazio interiore che echeggia, meraviglioso, il suono del silenzio.